Questo percorso parte da Gallipoli sullo Jonio, attraverso il tratto più largo del Salento leccese e termina ad Otranto sulla sponda adriatica in 50 Km divisi in tre tappe, ripercorrendo luoghi di suggestiva bellezza dal punto di vista paesaggistico, naturalistico ed archeologico, percorrendo a tratti la Via Appia-Traiana, che collegava le maggiori città salentine in età romana. Nel periodo compreso tra il XVIII e XIX sec.il percorso fu denominato la Via dell’Olio per la grande importanza che il porto di Gallipoli aveva assunto nel commercio dell’olio, dove fu istituita persino una Borsa dell’olio.
Trasporto: bus privato con partenza dall’hotel
Durata del viaggio: 3gg
Trattamento: pensione completa
Lunghezza percorso trekking: 50 km circa
Difficoltà: media
Assicurazione: su richiesta
Guida: guida escursionistica disponibile in più lingue.
Gallipoli, perla del Salento, con i suoi meravigliosi monumenti barocchi, il rivellino che collega la città moderna alla città vecchia, il più grande frantoio ipogeo visitabile pugliese, visita del santuario Santa Maria delle Grazie situato a circa 3 km da Gallipoli, in campagna, ed è noto anche con il nome di Santa Maria di ” Taliano”. La tradizione ci tramanda che il santuario oggi sorge dove prima vi era un’antica cripta (una sorta di grotta) dei Basiliani- databile tra il 700 e 800, ancora oggi accessibile e visitabile attraverso un passaggio creato all’interno del santuario posto tra l’altare maggiore e la sacrestia. La pianta interna del santuario, realizzato nel XIII secolo, è sviluppata in senso longitudinale, risulta molto profonda e presenta quattro zone inquadrate da maestose volte a crociera. Oggetto di culto che si trova all’interno del santuario è un dipinto della Vergine con in braccio il Bambino. Si prosegue per il Santuario della Lizza ad Alezio, meraviglioso esempio architettonico sorto nel 1268, si pregia di un protiro del ‘400 in forma di torrione, aperto da un’enorme arcata ogivale e da due archi minori sui lati. Nell’interno, affreschi bizantineggianti dei sec. XIII e XIV ed altri del sec. XVI attribuiti allo Z.T.; sopra l’entrata laterale, un’*Apparizione della Madonna a S. Francesco, attribuita al Maestro di Bovino, e nell’abside, Assunta di uno dei Malinconico, si continua con la chiesa matrice di Alezio, consacrata all’Addolorata la sua costruzione ebbe inizio nel 1838, su progetto dell’architetto Lorenzo Turco e venne terminata nel 1875. I finanziamenti per la sua costruzione vennero donati in parte dal re Ferdinando II e in parte dai fedeli e dal Comune di Alezio. Visita del centro storico di Parabita con il cinquecentesco Palazzo Ferrari, il castello angioino e la chiesa madre e le due cripte bizantine: la cripta urbana di Santa Marina e la cripta rupestre del Cirlicì, una cavità naturale trasformata in luogo di culto nel XII secolo. Quest’ultima, situata nei pressi dell’omonimo canale, è costituita da un primo ambiente da cui tramite un breve corridoio si accede ad una seconda stanza più ampia. Sono presenti tracce di affreschi tra i quali risalta un santo Vescovo, forse San Basilio Magno. Si prosegue fino alla serra salentina di S.Eleuterio, il punto più elevato del basso Salento, quasi 200 metri, in una delle sue cavità vi è la presenza di un dipinto raffigurante la Madonna del Carotto questo ci fa supporre che sia stata usata nel medioevo da monaci anacoreti. Da tutto questo è nata una tradizione popolare che vuole che solo le persone, che hanno un comportamento corretto ed onesto possano accedere alla visione del dipinto. Infatti la grotta possiede due cavità, separate solo da una parete di roccia, con un buco ( “carotto” nel dialetto locale) da attraversare per raggiungere il luogo del dipinto. Il luogo che custodisce l’affresco mariano è quindi raggiungibile solo attraverso il buco (carotto) non avendo entrate dall’esterno. La leggenda vuole che come succede a Roma nella famosa “Bocca della Verità” dove il malcapitato in caso di bugie, inserita una mano nella bocca gli viene immediatamente mozzata, nella nostra grotta, se si attraversa l’unica entrata il buco (carotto) esso si restringe sulle persone cattive e disoneste che per la loro condotta immorale non possono raggiungere la visione paradisiaca del bel volto della madre di Cristo . si termina con l’antica masseria Le Stanzie, che sorge ai piedi della Serra di S. Eleuterio e costituisce un complesso architettonico rurale tra i più antichi del Salento. Sul suo territorio è documentata una “stazio” romana, stazione di sosta lungo l’antichissima strada dell’olio che collegava Otranto e Gallipoli e poi nel Medioevo si insediarono i Bizantini che realizzarono in questo territorio strutture religiose in grotte e strutture produttive costituite da granai, cisterne e frantoi. Oggi la masseria è un ristorante, dove apprezzare l’antica e genuina gastronomia salentina.
Visita della masseria Macrì che fu costruita nel XVII sec. e presenta una tipologia a corte di tipo gentilizio con volte lunettate ed affreschi al primo piano. Al piano terra è presente una cappella, intitolata all’Immacolata con affreschi recenti. La specificità agro – fondiaria del luogo, che nel corso dei tempo ha registrato interessanti attività agricole, ha incoraggiato il soggiorno di nobili famiglie. A poca distanza dalle vecchie strutture edilizie della Masseria Macrì, fu organizzato, verso la metà del ‘700 il fabbricato del “casino Macrì” (che si dice utilizzato per gli appuntamenti galanti dei nobili) caratterizzato dalla spaziosa facciata con il balcone ad alcova, dalla piccola torre colombaia (in ottimo stato) e dalla neviera (sorta di ghiacciaia sotterranea dove, durante l’inverno, veniva conservata la neve, mediante un procedimento che consisteva nel poggiare sopra la neve una grande quantità di paglia, che ne facilitava la sua conservazione per due o tre anni circa). Attualmente sono stati ristrutturati i locali sovrastanti la masseria e ripristinate le coperture in “cannuzzu” delle vecchie strutture sul lato ovest. Visita del centro storico di Scorrano con i suoi palazzi gentilizi, la chiesa matrice di Santa Domenica, con i suoi dieci altari barocchi e la tavola del salernitano Vincenzo De Rogata raffigurante la Madonna tra San Matteo e San Marco, datata 1498 a chiesa settecentesca della Madonna della Luce con i suoi pregevoli dipinti, si prosegue per Muro leccese e si visita la Chiesa di Santa Maria di Miggiano una chiesetta di origine bizantina edificata nel XIV secolo, i cui lavori di costruzione continuarono fino al XVI secolo. La chiesa, di ridotte dimensioni, sorge in aperta campagna a circa 2 km dal centro abitato di Muro Leccese, al confine col comune di Sanarica. L’edificio è quello che rimane del casale medievale denominato Miggiano o Miggianello. La chiesa venne costruita con conci di forma irregolare ed è di forma rettangolare. L’interno, con copertura a doppio spiovente, è riccamente affrescato. Gli affreschi sono frutto di lunghi secoli di lavoro in quanto databili a varie epoche. Le raffigurazioni più antiche sono del XIV secolo mentre quelle più recenti sono databili ai primi anni del Settecento. Di recente sono stati recuperati. Tra gli affreschi si ricordano quelli raffiguranti: la Vergine col Bambino, l’Ultima Cena e i due Santi Orientali posti sull’arco che divide il presbiterio dalla navata.
Visita a Guggianello della cripta di San Giovanni Battista, di origine bizantina, risale al X-XI secolo. L’ipogeo appartiene a un insediamento rupestre la cui data di fondazione è collocabile al 953 d.C. Inizialmente adibito a luogo di culto dei monaci basiliani di rito greco, divenne una cappella cristiana di rito latino dove si continuò a venerare San Giovanni Battista. Scavato interamente nella roccia calcarea, l’ipogeo presenta un impianto a tre navate, con una larghezza di otto metri e un’altezza di due, separate da due pilastri centrali ricavati durante lo scavo. Nella navata centrale è collocato un piccolo altare sul quale vi è un incavo quadrangolare occupato da un recente affresco di San Giovanni realizzato in occasione dei lavori di recupero effettuati nel 1990 su determinazione del locale Centro di Cultura Sociale e di Ricerche. Intorno ai pilastri insistono i sedili a gradino. Degli affreschi originari rimangono solo alcuni volti di santi difficilmente identificabili. Percorrendo l’antica via rurale denominata “Serravecchia” che da Giuggianello porta a Quattromacine, fatti appena due chilometri, si giunge in contrada “Visilie”. Immettendosi in secolari oliveti, si giunge nel fondo “Tenenti” nella cui area giace uno dei monumenti pi enigmatici e meno conosciuti del Salento: il cosiddetto ” FURTICIDDHU TE LA VECCHIA”. La denominazione è medievale e indica una grande pietra circolare e lenticolare posta su un basamento. Qui, su un vasto pianoro, si notano altri massi dalle forme piu’ svariate. La scienza ufficiale parla di erosione, ma certamente questo luogo interessò gli antichi anche nella preistoria. Ciò è confermato dai vari reperti recuperati dal Centro di Cultura. Contiguo al fondo “Tenenti”, in un potere denominato “Cisterna Longa”, un altro masso solenne che suscita emozione e rispetto, levigato anch’esso dall’azione delle forze esogene, impreziosisce il posto. Questo masso, così denominato, per la sua maestosa forma di giaciglio. Il fascino un pò magico di questi monoliti spiega il legame con il mondo fiabesco della fantasia popolare legata a forze magiche che governavano lo svolgersi degli eventi nelle campagne di un tempo, dominato dalla paura di perdere il raccolto. L’erudizione classica salentina fa risalire l’enorme masso di Giuggianello al Masso Oscillante della leggenda di Aristotele. Egli, infatti, affermò che nella parte estrema della Japigia (Salento) esiste una pietra tanto grande che sarebbe impresa impossibile smuoverla e trasportarla persino su un enorme carro. Ma Ercole, sollevatala, senza sforzo, la gettò dietro le sue spalle ed essa si posò sul terreno in maniera tale che anche la semplice pressione di un dito di un bambino sarebbe stata in grado di rimuoverla. In realtà il masso sembra avere qualcosa di straordinario e la sua enorme dimensione fa evocare racconti mitologici popolati da ciclopi, giganti e titani. Il superbo monolite per la sua scenografia è considerato monumento nazionale. Si costeggia il fiume che Idro dà il nome alla zona che si estende dal centro di Otranto verso ovest. Il ruscello otrantino scende verso il mare da Monte S. Angelo, il quale ospita una grotta bizantina dedicata a S. Angelo. Il paesaggio si presenta ricco di colture e di una vegetazione rigogliosa, perfetto per lunghe passeggiate. I terreni della zona sono molto fertili e i contadini vi coltivano alberi da frutto, ortaggi e verdure di ogni tipo. Ciò è anche reso possibile dalla presenza di pozzi. “Ci sono molte sorgenti e fonti di acqua purissima che scorrono tra le piante di alloro e di agrumi e, cosa rara in questa regione, si trovano molti pozzi di profondità tanto modesta che puoi attingere l’acqua con una mano. Nel sito si possono scorgere diverse grotte di varia grandezza e forma. Soprattutto tre gruppi di grotte colpiscono l’attenzione dei visitatori. Il primo gruppo si trova all’ingresso della vallata, sul lato sinistro, ed è formato da una sequenza di grotticelle. Alcune di esse sono composte da due vani, uno più grande all’entrata e un altro più piccolo nella parte posteriore. In tutti gli antri si notano delle iscrizioni greche, delle nicchie a ripiano e, nella zona prospiciente, una cisterna. Nel secondo gruppo, sito alle pendici di Monte Lauro Vecchio, le grotte si presentano a diversi livelli. La planimetria è costituita da un vano più grande rispetto agli altri, una nicchia e altre tre a ripiano. Si notano, altresì, dei graffiti sulle pareti che raffigurano croci latine, mani, guerrieri turchi, velieri. Il terzo gruppo si trova alle pendici di Monte S. Angelo. Trattasi di un vero e proprio villaggio rupestre comprendente stalle, abitazioni e luoghi di culto. Sono 106 decine i dolmen e i menhir che sorgono nei dintorni di Giurdignano, in un percorso ideale nel tempo e nello spazio che scava nella storia di una terra antica, riportandola fino ai suoi albori. Il fascino dell’orma e dell’opera dell’uomo preistorico, in quello che viene considerato dagli esperti come il “giardino Megalitico” più esteso d’Italia.“tanto da farle meritare il nome di Stonehenge salentina.dal V al II sec. a.c. Si termina con Otranto, sito Unesco nel 2010 con il suo borgo medievale, le mura, la chiesa bizantina di San Pietro, il castello e la superba cattedrale romanica con il superbo pavimento musivo del XII secolo, il più grande d’Europa, “summa” del sapere medievale, la cappella dei martiri vittime del sacco dei turchi del 1480 e la sua splendida costa.
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